La didattica delle emozioni
L’introduzione dell’Educazione Razionale ed Emotiva nel percorso di studi per gli alunni e le alunne che frequentano la scuola primaria.
di Rosaria Alleri, Pedagogista della scuola valdese e referente dell’area pedagogica
Il sistema scolastico ed educativo in Italia ha sempre mirato allo sviluppo dell’intelligenza razionale a scapito di quella emotiva, vale a dire la capacità di leggere, interpretare e gestire le proprie e altrui emozioni.
A livello ministeriale solo nell’ultimo anno ci sono segni di una rivalutazione della percezione che si ha dell’intelligenza emotiva e della fondamentale importanza del suo insegnamento, come dimostra il disegno di legge approvato alla Camera lo scorso gennaio e adesso in vaglio al Senato. Con 340 voti favorevoli e nessun voto contrario, la Proposta di Legge n. 2782 dal titolo Disposizioni in materia di insegnamento sperimentale dell’educazione all’intelligenza emotiva nelle scuole di ogni ordine e grado mira a introdurre le competenze non cognitive a scuola e a valorizzare le competenze emotive nei programmi didattici.
L’aspetto davvero avvilente è che, non solo la proposta di legge deve essere ancora approvata dal Senato per poter far partire la sperimentazione nell’anno 2022\2023, ma che in realtà non sia pensata per tutte le scuole di ogni ordine e grado, ma per la candidatura di scuole secondarie di primo e secondo grado. Ancora una volta la prima infanzia viene trascurata, viene “rimandata”. Eppure per noi che lavoriamo ogni giorno con bambine e bambini compresi nella fascia d’età tra i 3 e gli 11 anni gli effetti della pandemia e le ripercussioni a livello psicologico, emotivo, fisico, sono molto evidenti, soprattutto di quelli con famiglie vulnerabili e fragili.
La nostra scuola valdese, consapevole dell’importanza che risiede nell’insegnare a riconoscere, quindi a gestire, le emozioni, con spirito avanguardistico ha inserito già dal 2019 il primo percorso di Educazione Razionale ed Emotiva (ERE) per tutte le classi della scuola primaria. Sulla scia delle scuole svedesi che dal lontano 1970 prevedono “l’ora di empatia (la c.d. Klassens tid), abbiamo inserito un’ora di “alfabetizzazione emozionale” a settimana nel piano didattico; già all’età di sei anni i bambini e le bambine imparano l’ABC delle emozioni: denominarle, individuarle, riconoscerle, esprimerle, comprenderle e, quindi, a possedere gli strumenti per gestirle e canalizzarle in modo sano.
Nella quotidianità le persone provano una quantità numerosa di emozioni (rabbia, paura, sorpresa, disprezzo, felicità, tristezza, disgusto, empatia, orgoglio, senso di colpa, vergogna, invidia), mentre i più piccoli tendono a riconoscerne un numero limitatissimo, che si riduce al dualismo felicità-tristezza. Educare all’abilità emotiva sin dalla scuola primaria fa sì che i bambini e le bambine comprendano come individuare e differenziare le emozioni, per gestirne gli effetti negativi o il disagio che potrebbe derivare da un’errata identificazione di esse.
A tre anni dalla sperimentazione, i nostri e le nostre insegnanti hanno riscontrato la valenza educativa, sociale e comunitaria dell’ERE che genera comportamenti solidali: le relazioni tra compagni di classe sono diventate meno conflittuali e più empatiche, dal momento che – sapendo leggere, elaborare e razionalizzare le proprie emozioni – riescono a comprendere quelle degli altri, con il risultato di un diffuso benessere e di un potenziamento dei legami interni al gruppo classe e al gruppo di pari, un miglioramento generalizzato del clima insegnanti-alunne/i e uno sviluppo costante dell’apprendimento. L’alunno/a che conosce e condivide i suoi stati d’animo con il gruppo dei pari è nettamente più rilassato, quindi più incline ad apprendere meglio. L’educazione ERE serve anche per prevenire fenomeni di bullismo e per mitigare l’insorgere di disturbi sociali.
Un bambino o una bambina capace di sentire le emozioni – le proprie e quelle dell’altro/a – e a dar loro il giusto valore, sarà infatti meno incline ad innescare processi conflittuali, sia tra coetanei, sia con gli insegnanti e i genitori. Per di più, valorizzando le doti non prettamente legate allo studio, l’ERE coinvolge anche gli/le alunni/e più difficili, contribuendo a prevenire analfabetismi funzionali, povertà educativa e dispersione scolastica. D’altronde, come dimostrano le neuroscienze, si apprende principalmente tramite le emozioni. L’alfabetizzazione emozionale potenzia quell’aspetto dell’intelligenza che è in grado di favorire reazioni emotive equilibrate e funzionali all’autocontrollo, ma anche a maturare abilità sociali che influenzano il comportamento, l’apprendimento e la condotta sociale. Elementi chiave, questi, per maturare una sana vita di relazione, considerato che i bambini e le bambine sono talmente presi dal turbinio delle attività didattiche o del gioco leggero, che non hanno il tempo di costruire un dialogo più intimo, propedeutico ad una conoscenza reciproca dell’altro. Infine, una riflessione va fatta su quello che la stessa OMS ha definito “trauma collettivo da Covid-19”; con riguardo alla situazione pandemica, i nostri e le nostre insegnanti hanno segnalato una presenza cospicua di traumi psicologici tra i bambini e le bambine al loro rientro a scuola; traumi derivanti dal cambiamento radicale delle loro abitudini di vita, dal duro periodo di isolamento vissuto, dall’incapacità di riconoscere e dare sfogo ai sentimenti e alle emozioni contrastanti che cambiavano di giorno in giorno, o a farsi sopraffare da esse, rimanendo inermi. I bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze sono stati forse abituati ad aver paura della sofferenza, a doverla necessariamente allontanare, sono stati inondati di istruzioni e corsi su come evitarla, superarla; invece forse si dovrebbe aiutarli a sopportarla, a fermarsi, “so-stare” e a non associare la sofferenza al fallimento. Questa esperienza collettiva traumatica insegna a tutti e a tutte noi l’importanza che sta dietro al coltivare l’intelligenza emotiva a scuola perché la scuola ha il compito di ricomporre il disorientamento verso il mondo circostante e di fornire alle nostre ragazze e ai nostri ragazzi tutti gli strumenti per superare le criticità, soprattutto quelle generate dalla pandemia, e potersi affermare nella vita.