All’Istituto Valdese si va a scuola di emozioni: riconoscerle da piccoli, gestirle da adulti
E se ai bambini e alle bambine si insegnasse a riconoscere e gestire le emozioni?
Siamo partiti da questo interrogativo quando lo scorso anno abbiamo deciso di avviare in via sperimentale il primo percorso di Educazione Razionale ed Emotiva (ERE) pensato per gli alunni e le alunne che frequentano la scuola primaria.
Sulla scia delle scuole svedesi che già dal lontano 1970 hanno introdotto “l’ora di empatia”, la cosiddetta Klassens tid nei propri piani formativi, abbiamo scelto di inserire in modo strutturale 1 ora di “alfabetizzazione emozionale” a settimana nel piano didattico delle nostre due classi di scuola primaria. In questo modo, già all’età di sei anni i bambini e le bambine imparano l’ABC delle emozioni: a denominarle, individuarle, riconoscerle, esprimerle, comprenderle e, quindi, a possedere gli strumenti per gestirle e canalizzarle in modo sano.
Felicità, tristezza, rabbia, paura, sorpresa, disprezzo, disgusto, empatia, orgoglio, senso di colpa, vergogna, invidia, sono molteplici le emozioni che ognuno di noi prova quotidianamente. I più piccoli, invece, tendono a riconoscerne un numero limitatissimo – tendenzialmente soltanto “felicità” e “tristezza” – tralasciando le innumerevoli sfumature che le emozioni possiedono e non riuscendo, quindi, a gestire anche i loro effetti negativi o il disagio che potrebbe derivare da un’errata identificazione di esse.
Purtroppo, la pandemia ci ha messo concretamente davanti a difficoltà simili: al rientro a scuola i nostri insegnanti e le nostre insegnanti hanno segnalato la presenza di traumi psicologici tra i bambini e le bambine, derivanti dal cambiamento radicale delle loro abitudini di vita, dal duro periodo di isolamento vissuto per tre mesi, dall’incapacità di riconoscere e dare sfogo ai sentimenti e alle emozioni contrastanti che cambiavano di giorno in giorno, o a farsi sopraffare da esse, rimanendo inermi.
Da quest’esperienza, abbiamo deciso di fare di necessità virtù, estendendo il percorso ERE a tutte le nostre classi, inserendo quindi l’ora di educazione razionale-emozionale anche nelle classi terze e quinte della nostra scuola primaria. Abbiamo successivamente notato che i bambini avviati al percorso di educazione all’emozione, non solo sono messi nella condizione di leggere ed elaborare le proprie emozioni, ma riescono a razionalizzarle, quindi a comprendere quelle degli altri, con il risultato di un diffuso benessere nel rapporto con sé stessi e con gli altri.
Inoltre, l’alfabetizzazione emozionale educa la mente del bambino al potenziamento di quell’aspetto dell’intelligenza che è in grado di favorire reazioni emotive equilibrate e funzionali all’autocontrollo, ma anche a maturare abilità sociali che influenzano il comportamento, l’apprendimento e la condotta sociale. Elementi chiave, questi, per maturare una sana vita di relazione, considerato che i bambini e le bambine sono talmente presi dal turbinio delle attività didattiche o del gioco libero e leggero, che non hanno il tempo di costruire un dialogo più intimo, propedeutico ad una conoscenza reciproca dell’altro.
Sul panorama nazionale non esistono scuole pubbliche che hanno inserito nel proprio piano formativo annuale un’ora di “educazione all’emozione”. A livello politico, si è anche sentita la necessità di inserire una materia che promuova l’educazione all’intelligenza emotiva, come dimostra la mozione presentata a marzo 2019 dall’On. Bellucci, deputata della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza. Tuttavia, un passo legislativo non è stato ancora fatto, se non un emendamento presentato a novembre 2019 alla legge sul contrasto al bullismo, che prevede l’educazione emozionale per il solo corpo docente.
Dal canto nostro, abbiamo colto in anticipo l’importanza di insegnare le emozioni anche per prevenire fenomeni di bullismo e per mitigare l’insorgere di disturbi sociali. Un bambino capace di sentire le emozioni – le proprie e quelle dell’altro – e a dar loro il giusto valore, sarà infatti meno incline ad innescare processi conflittuali, sia tra coetanei, sia con gli insegnanti e i genitori.
A distanza di un anno dalla sperimentazione del percorso ERE nella nostra scuola, quel che abbiamo potuto riscontrare è sicuramente un netto miglioramento di diversi e fondamentali aspetti del viver quotidiano. I nostri docenti hanno, infatti, segnalato un potenziamento dei legami interni al gruppo classe e al gruppo di pari, un miglioramento generalizzato del clima insegnanti-alunni e uno sviluppo costante dell’apprendimento: l’alunno che conosce e condivide i suoi stati d’animo con il gruppo dei pari è nettamente più rilassato, quindi più incline ad apprendere meglio. Inoltre, come dimostrano anche le neuroscienze: si apprende principalmente tramite le emozioni.
E i nostri bambini hanno avuto modo di dimostrarlo, tanto che in una classe, quando si parlava dell’emozione della vergogna una bambina di sette anni, timidamente, ha detto: “la mia più grande vergogna è che ancora faccio la pipì a letto, alla mia età….”. Dopo un silenzio spettrale, sembrato assordante, un compagnetto di classe, con una spontaneità disarmante ha risposto: “Anche io, e non lo avevo mai detto a nessuno ma, soprattutto non pensavo potesse accadere ad altri bambini…”. Uno degli obiettivi fondamentali di questi percorsi è quello di facilitare l’espressione e la narrazione delle emozioni che, se trattenute, se soffocate e nascoste, nel tempo diventano “pesanti”, opprimenti. Si sviluppano, in modo naturale e spontaneo: il senso di appartenenza al gruppo, la solidarietà e la fiducia. Un esempio questo che, nella sua semplicità, insegna più di mille lezioni di storia, geografia o scienze, perché insegna a fronteggiare la vita e le emozioni che ruotano attorno ad essa.